Sono più di due anni che ho aperto il blog, e non mi ero resa conto che ancora non vi avevo parlato di uno dei capisaldi della mia cultura alimentare: il panino con la porchetta.
Non so se ci avete fatto caso pure voi, ma ultimamente si fa un gran parlare di street food, pare che la cosa faccia figo. E quindi non vogliamo spendere due parole sullo street food de noantri? Vogliamo continuare a tenere oltraggiosamente viva questa lacuna? Giammai.
Che poi la patria della porchetta per antonomasia è Ariccia, che è a un tiro di schioppo da casa mia. Il mio silenzio a questo punto sarebbe oltremodo colpevole.
Quindi questo post non sarà il solito post di ricette, ma un post riparatorio, un pegno d’amore mio nei confronti della porchetta, di quella ariccina per la precisione e per chi ancora non avesse capito.
lo so che ve lo state chiedendo, quindi la smetto con le chiacchiere. Il segreto per ottenere il massimo dal maiale, a parte la nobiltà della materia prima è nella tecnica di salatura e massaggio ma soprattutto la miscela delle spezie usate per insaporire, che di base sono aglio pepe e rosmarino. Il punto sta tutto in quanto aglio e quanto rosmarino e quanto pepe, ogni norcino ha la sua formula magica e non la va a raccontare ai quattro venti.
Il pane: diffidate da chi vende il panino con la porchetta con la rosetta o la ciabatta o schiacciatine o affini. L’unico vero panino con la porchetta vuole il pane casareccio, tutto il resto è millantazione. E qua c’è la spiegazione scientifica. La grana della mollica del pane casareccio, quello di Genzano a voler proprio essere precisi, è perfetta per assorbire il grasso del condimento. Quella della rosetta ad esempio è troppo fitta, tanto da risultare quasi impermeabile. Qua cari miei ci sono anni e anni di sperimentazioni a vostro servizio, fidatevi.
La crosta: va chiesta e pretesa nel panino, è la parte grassa e croccante, il carattere della farcitura.
Passiamo alla temperatura di servizio. La porchetta dà il meglio di sè mangiata calda, anche per la questione del punto precedente, Cioè più è calda e più il grasso viene assorbito dal pane. Trovarla calda al chiosco però, è praticamente una fortuna che capita poche volte nella vita. Fredda è spettacolare capiamoci, ma ancora calda di cottura è una esperienza mistica. E non sto esagerando.
Io ci sono riuscita solo due volte in vita mia, la prima era il 5 ottobre del 1999. Non sto scherzando, ricordo la data veramente. Arrivai al chiosco in contempoanea con la consegna della porchetta, o meglio vidi arrivare la porchetta e decisi che era l’ora dello spuntino. Il mio fu il primo panino, ricordo che la piazza profumava tutta intorno, e aggiungo che mi ricordo pure come ero vestita. Giusto per farvi capire, che quando dico esperienza mistica, intendo esperienza mistica.
La seconda volta, memore della prima, fu studiata a tavolino. Io, la mia laurea, l’ho festeggiata a panini e porchetta e pasta e fagioli. E la porchetta che ordinai per l’occasione, me la portarono calda, come da mia precisa e insidacabile indicazione.
Ora la domanda nasce spontanea, che ci si beve con la porchetta? Dalle mie parti la proposta al chiosco è la romanella, ecco lasciate perdere. Si parla di qualcosa (perché vino non è) di dubbia potabilità. Nessuno è perfetto e pure il porchettaro può avere cadute di stile. La sottoscritta siccome vi vuole bene, ha chiesto a tal proposito l’aiuto dell’esperto:
Panino con la porchetta e… vini che “busciano”! di Franco Ziliani di Vino al vino
Eppure stavolta mi sei piaciuto. Ma siccome qua come avrai capito l’approccio è scientifico, non riesco a fare una scelta sulla carta e quindi li proverò via via tutti e ti farò sapere. 😉
Un ultima cosa: la traduzione di busciare? Io direi proprio friccicare.