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La trippa al sugo al sapor di Garbatella

Sarà che in questi giorni sto frequentando dopo anni la Garbatella, che per chi non è pratico è una zona di Roma, piuttosto popolare, diventata famosa coi Cesaroni mi dicono. Sarà che per me Garbatella vuol dire Nonna Vittoria, sarà che mamma m’ha fatto la trippa al sugo. Ma io oggi mi sento che la parte romana di me ha bisogno di esprimersi. Quindi vi tocca un post amarcord su Nonna, trippa e la mia Garbatella.

Partiamo da Nonna, che modestia a parte era bella, ma bella davvero, mora, magra, un viso da attrice, e nonostante era cresciuta tra Via La Spezia e Garbatella aveva un’aria per nulla popolare, anzi tutt’altro. Si vedeva lontano un miglio che non era figlia del popolo, s’era dovuta adeguare, perché il padre s’era giocato tutta la fortuna di famiglia, tra donne e cavalli. Ma di questo magari vi parlo un altro giorno.

Poi c’è la Garbatella, e i miei sabati mattina estivi con nonna. Avevamo il nostro giro, uscivamo col carrellino, passavamo al bar all’angolo e io rimediavo sempre un cioccolatino o un dolcetto, poi andavamo al mercato. Nonna, ci teneva tutte le volte a precisare, che la figlia del proprietario del bar, tutta meches, rossetto, ombretto e unghie laccatissime,  che stava alla cassa, era “signorina”, perché non se l’era sposata nessuno. Probabilmente nonna e la “signorina” avevano avuto un qualche contenzioso nel passato, o semplicemente nonna metteva in atto la sua idiosincrasia verso le bionde. Le odiava, le odiava tutte, in maniera viscerale. Pare il tutto risalisse al fatto che una tale Tecla, bionda appunto, le avesse  portato via da Roma l’amato fratello. Da quel momento aveva imbracciato le armi e non perdeva occasione per punirne una, di bionda. A me che ero castana, mi guardava con gli occhi dell’amore e mi consolava dicendomi, che tanto crescendo si sarebbero comunque scuriti.

La seconda tappa fissa era la fioraia, questa a nonna piaceva. La ricordo, era secca allampanata, pure lei era senza marito e aveva una marea di figli da sfamare, sei, se non ricordo male. Però era vedova, e nonna a precisare questo ci teneva, nel senso un marito, in quanto mora lo aveva trovato, poi la mala sorte glielo aveva portato via. Nonna ci passava sempre a comprare qualcosa da lei, per darle una mano. A me piaceva di più la coloratissima signorina del bar, ma non ho avuto mai il coraggio di dirlo a nonna.

La terza tappa fissa era il macellaio, era alla fine del giro, e aveva sempre la fila. Mi ricordo che era alto, moro e forse aveva i baffi e mi stava simpatico, e non solo a me. Le chiamava tutte per nome le signore col carrello, battuta pronta e di tutte sapeva gusti, e tutte (nonna compresa) gli sorridevano. E poi mi ricordo quel cartello: Sabato Trippa. Era un assioma indiscutibile, e le signore eseguivano.

Ed è stato così, che quando ieri mattina, sono passata da mamma, e ho sentito (alle 11!) il profumo di trippa che sobolliva sui fornelli, m’è tornato tutto in mente e soprattutto mi sono fatta fare la mia porzione “take away”. E a voi? La ricetta di mamma, che poi era pure quella di nonna, ve la scrivo come me l’ha raccontata, per 2 persone o poco più.

Ecco cosa vi occorre:

Lavate la trippa e comiunque ri-lessatela per almeno 20′ e poi scolatela.

Preparate il soffritto, sminuzzando tutto insieme la carota con il sedano e la cipolla. Aggiungete il peperoncino, poco però, che non deve coprire. Sfumate tutto con il vino e poi aggiungere il pomodoro, e poi insaporite il tutto con il pecorino. Mettete la trippa bel scolata nel sugo, poi aggiungere la menta romana 5-6 foglioline. (La menta, se la mettete anche nel soffritto, non sbagliate, dice mamma)

Fate cuocere  a fiamma bassa per un’altra mezzora, lo scopo non è cuocere, che è tutto bello e cotto, ma insaporire e amalgamare i sapori. Aggiustate di sale ed eventualmente pecorino. Impiattate con un spolverizzata di pecorino, e una fogliolina di menta per fare scena e dare profumo.

 

La trippa al sugo al sapor di Garbatellaultima modifica: 2015-10-25T08:36:16+01:00da
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